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La mente del samurai

samuraiNello stato di mushin, “non mente”, scompare il pensiero e con esso tutte le distinzioni; tra sé e l’avversario, tra vittoria e sconfitta, spada e non spada. Il movimento del samurai é quindi libero dall’idea di tecnica, del tutto spontaneo e pronto a rispondere agli eventi del combattimento. Vince così prima ancora di estrarre la spada. (Chistopher Hellman, La mente del samurai, Astrolabio)

Così dovrebbe essere la mente di un chirurgo in camera operatoria. Di un medico ai codici rossi. Di un infermiere al triage. Di un tecnico di laboratorio in microbiologia. Una mente libera da qualsiasi pensiero che non sia inerente al compito che sta svolgendo. Libera dalle elucubrazioni sul passato e dalle fantasticherie sul futuro. Libera da emozioni negative e da idee e concetti precostituiti. Una mente attenta, consapevole, precisa.

Sarebbe bello, vero? Purtroppo non è così. Saremmo tutti samurai e non lo siamo. Ma non  c’è da preoccuparsi. E’ assolutamente normale che la nostra testa pensi, che sia affollata da milioni di pensieri, pensieri che si stratificano uno su l’altro e da cui non riusciamo a liberarci neanche volendo. C’è da preoccuparsi quando questi pensieri diventano talmente forti da impedirci di essere efficienti ed efficaci (come dicono i guru della formazione).

Pensieri che potenzialmente possono influire negativamente sulla qualità della prestazione, causare errori clinici, infortuni sul lavoro o, semplicemente, aumentare la nostra dose di stress, che a quel punto si ripercuote inevitabilmente anche su colleghi e pazienti.

Se ci accorgiamo che stiamo in questo stato, dobbiamo fermarci e fare qualcosa: andare in vacanza, prenotare un giro in mongolfiera, iscriversi in palestra, fare il giro del mondo, qualsiasi cosa. E se la situazione rimane immutata, chiedere aiuto. Illudersi di riuscire a venirne a capo da soli, potrebbe rivelarsi un grave errore. Ci sono professionisti specializzati in questo, facciamoci aiutare da loro. Non c’è nulla da vergognarsi. Anche un samurai lo farebbe.

di Ferdinando Gaeta

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